Gay & Bisex

La Notte


di Ptro
12.04.2024    |    79    |    0 6.0
"Sono degno del regno dei cieli mentre il suo membro mi allarga e pianto gli occhi nel suo viso sciatto, nella barba incolta e in quell'orrore riconosco la..."
Onde. Onde di energia. Ballano nel mio corpo, si inseguono su nervi dimenticati, si perdono tra lembi stanchi. È l'attacco della cassa, il suo bombardamento, la sua picchiata e non la fermo, non un colpo. Mi faccio martoriare dalla musica e rimbalzo coi suoi battiti, con ogni impatto di basso. La cassa è la mia burattinaia. Un filo per ogni muscolo, teso e preciso, la macchina del ballo. Solo gli occhi mi lascia liberi, solo loro non servono alla sua guerra motoria. Sono io che li stringo per fermare l'acqua, le lacrime pronte all'assalto, a rovinare tutto tranciando i fili, a spezzare l'incantesimo e rifarmi tronco, rifarmi legna. Non qui, non ora, penso nel buio della pista, rotto dalle sue stelle fucsia sintetiche che cadono su profili duri e barbe di cui solo si indovina l'antico splendore nel sudore.
In un angolo li vedo, ancora intenti a darsi amore e si gonfiano e si ritraggono e si allungano come vivo tumore, non riesco ad assegnare le mani curiose al giusto corpo, forse non ci son più corpi, l'ascesi è compiuta e solo il puro piacere resta. E poi eccolo, mi fissa, gli occhi spalancati nel muto grido di gioia e desiderio e seguo il suo corpo, l'accenno leggero del tartan tra le strobo, la mano ruvida e violenta che impudica si infila nel culo. Mi chiama, forse si scusa, c'è tutto in quei suoi occhi ma non il tempo, no quello no, di farsi perdonare. La testa calva del mostro gli torna davanti e le lingue si incrociano di nuovo, il mostro lo vìola e insozza per sempre quella bocca che si era giurata mia. Il suo corpo chimico si espande in fretta, troppo in fretta per noi umani mentre si fa cyborg e vola su di noi inchiodati a terra con gli occhi arrossati dal misero fumo. Si mangia lo spazio e chi c'è dentro come un'ameba eccitata dal solvente, i suoi orifizi spalancati sono buchi neri di dolore e orgasmi e si fiondano sul mio biondo. La lingua è crudele nel mangiarlo, il culo non è da meno mentre esploratori galattici lo attraversano abbandonando tesori proibiti nelle strade aperte dai vapori violetti. Il mostro è il centro della creatura disumana che si fa ombra nell'angolo, la madre delle appendici, immonda fabbrica di morte che estrae ai suoi amanti immaginati nella penombra il bianco pegno dell'anima.
Osservo inorridito le pupille riverse che tremando mi avevano giurato silenti un comizio d'amore farsi notte mentre l'odore di magia si libera e la cassa, materna, silenzia le sue grida e la mia umiliazione. Ma mentre i fili si tendono e mi portano gli occhi sono sbarrati sul mostruoso membro, eccolo turgido e lucido che spinge la sua corona metallica nel rifugio che mi fu promesso. Il fulmine fatale cade sull'inerme nella tempesta, i lampi stroboscopici donano alla mia allucinazione vividi quadri di realtà: ora la nera nube di pelo tuona tutto intorno alle morbide colline appena rivelate da un jeans respinto, ora scorgo la folgore lucente di mostruosa bava e accoglienti succhi trafiggere quel buco tenero e inesperto. Poi eccola, la testa coronata, il trionfo di metallo, l'apice della virilità deforme e postumana: si appoggia sul muscolo e lo costringe a riaprirsi, lo ferisce ruggendo e si infila lenta fino a possedere ogni parte di quel corpo cui io avrei giurato libertà. Eppure i suoi occhi gridano alla luna la sua gioia mentre trema e avvolge più stretto la bestia in un umido panno, mentre scosso dalla magia del minotauro s'inarca, offre il collo ai morsi e schizza ogni dolore del mondo sugli astanti e sui muri e nei cubetti di gelo abbandonati per la loro banalità. La pioggia porta la vita nell'orrore stantio e per un istante solo mi immagino carponi a leccare quelle perle, quelle gocce che mi furono promesse e così vilmente rubate ma la cassa beffarda tace un secondo. Un solo istante di silenzio in cui io muoio e il mostro esplode. L'urlo è belluino e mi figuro in una giostra alcolica di vedere, di sentire il suo cazzo pulsante nel buco delicato che tanto desideravo, sono dentro di lui, sono il suo veleno, intorno a me le pulsazioni di masse organiche ignote mi proiettano nel metallo e poi dritto nel buio e vedo il culo rotto che mi ha accolto e mi spando infame sulle mucose irritate, bianco come il latte nel buio canale sono il sollievo di un muscolo sfatto, di un atleta amoroso speso per la causa. Vomito.
Vomito a caso, ovunque. Nei bicchieri e sulle parrucche disumane, dissacro paillettes fiammanti e allago pozzi d'ombra nei recessi di piacere della pista, zittisco il mondo con uno strato candido di rum e pera e sogni che mai saranno miei. Osservo la mia bile roboante rompere gli argini con gioia, sento il mio esser nulla diventare tutto, il fallimento non è mai stato così dolce. Scappo. Divento ombra nei silenzi, un'idea in una dark, un soffio sulle pareti che silenziano gli orgasmi di orge d'addio e pompini d'incontro. Lo vedo, è orrendo ma non mi importa, mi sta seguendo con gli occhi, mi localizza con grida disperate, segue l'odore della paura. Sa che è il suo momento, i miei feromoni rivelano il fallimento, la chimica secchezza delle fauci mentre esplora la mia bocca conferma il mio terrore di tornare alla vita, la mia angoscia all'idea di non essere all'altezza della notte e cadere nel giudizio del buio. Ruvida e colma di tabacco antico la sua lingua mi possiede. Sento le sue mani ardite guidate dall'urgenza, anche lui è alla Corte delle Tenebre. Non finiremo la notte da soli. Il viso schiacciato su una collana di diamanti abbandonata da un amante frettoloso sulle nere pareti, il suo soffio tra le colline aperte dal desiderio, la lingua violenta che spinge bagnata. Mi bacia il culo, ci si unisce in una nera parodia dove l'orrore è diluito, transforme, dove la sua lingua che trapassa l'orifizio parla dalla mia bocca, gettando urla di piacere mentre le lacrime scorrono. Mi prende la testa, mi ordina di leccare l'amore altrui e lo faccio, mescolo in bocca i ricordi di tutti gli incontri notturni, lui ha tre dita in me e sono largo, sento tutto l'amore del mondo entrare dentro e la Corte delle Tenebre applaude il suo degno servo. Ma il giudice scuote il capo, addita i miei pensieri, l'eterno ritorno di quel tartan promesso, i confusi occhi azzurri sotto il regno di grano biondo, m'urla: "Traditore! Non sei degno della notte, non sei degno!". E piango e grido e son paonazzo di vergogna mentre tutte le signore del buio iniziano a ridere nell'Aula, lo sguardo fisso su di me, l'accusa negli occhi: amore! Le bocche deformi degli amici mi mangiano e i denti triturano il corpo della frocia indegna e urlo e lecco ogni cosa, finisca la tortura, ridatemi la notte son degna, grido. Afferro i glutei del mio amante, lo tiro a me. Lo imploro di salvarmi, di infondermi la vita, di spalancarmi al buio. Sputa sulle mie debolezze, sputa sulle mie lacrime, sul mio culo in cui ancora tiene due dita veloci, e io mi ergo. Sono salvo.
Il mio cazzo mi salva ancora, allontana gli incubi e gli scherni, si innalza turgido nelle umiliazioni, si fa tutto del mio niente e allora sì che son degna della notte, mentre il suo cazzo nudo mi entra dentro e mi strappa un sospiro. Sono la Regina della notte mentre scaccio il desiderio del tartan e di quel dolce accento bergamasco baciando il suo volto osceno, mentre convulso godo dell'abbraccio del mio mostro. Sono degno del regno dei cieli mentre il suo membro mi allarga e pianto gli occhi nel suo viso sciatto, nella barba incolta e in quell'orrore riconosco la gioia e in quella gioia il mio nulla. Mi apre veloce, entra in luoghi segreti e ormai non resisto, desidero sempre di più esser conosciuto, grido quando infila due dita tozze attorno al cazzo e grido che ne voglio ancora, che la Regina non è sazia. Non può esser sazia. Siamo la corte degli ingordi e sorrido alla porta e faccio entrare il vecchio in piedi per ingoiarlo, per dar sfogo alla mia anima baccante. Lui gode, gode il vecchio, godo io, sono diventato vuoto, sono diventato aria, mi allargo come acqua per prendere più carne, per sentire il vecchio in gola, per giocare con le sue vene spesse ad occhi aperti fissati nel suo orrore. Sento un rantolo dietro e so che sto ascendendo al cielo mentre il mio buco si riempie di luce e strasborda, schizza dal mio sfintere slabbrato, rotola ovunque come in sogno. Tutto è luminoso, piove luce dal turgido cazzo del vecchio sul mio viso. E poi un urlo belluino, è il mostro, mi ha trovato? Ma la bocca spalancata è la mia e l'orgasmo che mi spinge al cielo in un abbraccio di stelle è il mio. Sono io, il mostro.


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